Disturbi sessuali

Amore e psiche

Amore e Psiche. La terapia analitica delle disfunzioni sessuali
Scritto da Adriano Legacci

Amore e psiche. Arte, canto e corpo vivente. La psicoterapia analitica nel trattamento delle disfunzioni sessuali.

Amore e psiche.

Cordelia mia, trovandosi a caccia, Alfeo s’innamorò della Ninfa Aretusa. Ma questa non volle esser sua e fuggì, fuggì sempre dinanzi a lui, finché nell’isola Ortigia venne trasformata in fonte. Alfeo ne dolorò immensamente e fu anche lui tramutato in fiume, in quel fiume che ora corre sotto il nome di Elis nel Peloponneso. Eppure non dimenticò l’amor suo: e sotto le onde del mare poté riunirsi finalmente con l’amata. È passato forse il tempo delle metamorfosi? Rispondimi! È passato forse il tempo dell’amore?

(S.A. Kierkegaard)

Attoniti amanti. Che preparazione e rito. Perpetuo. Vana preparazione. Acqua che arrivi veramente e non mi – e non ti – mesci.

(A. Zanzotto)

Amore e psiche. Quanti Alfeo e quante Aretusa sono passati nel mio studio? Quanti uomini e donne che hanno cercato e respinto, desiderato e temuto, perduto, trovato, ancora perduto…

Quante volte li ho visti varcare la porta, al nostro primo incontro, trafelati, ancora ansimanti per la corsa. Quante volte li ho visti entrare guardandosi sospettosamente alle spalle, o lanciando sguardi timorosi e anelanti verso il nido di rose che è ai piedi dell’arcobaleno – così a portata di mano, così disperatamente lontano.

“Dottore non ho tempo. Sto correndo “. Quante volte Alfeo e Aretusa mi hanno salutato, entrando, con queste parole?

Vorrei fermarmi – mi dice Aretusa – ma le mie gambe corrono veloci come il vento.

Vorrei fermarmi – mi dice Alfeo – ma Aretusa, poi, chi la riprenderà?

Mi serve una pozione che mi rende invisibile; trasparente e leggero questo corpo che m’intralcia -mi dice Aretusa – parlarne non mi aiuterà.

Mi servono gli stivali delle sette leghe – mi dice Alfeo – una spada un elmo e un elisir di invincibilità. Parlare a che ci servirà?

Amore e psiche. E poi viene un giorno, forse, e viene il tempo di uscire dal silenzio. Alfeo e Aretusa si fermano nella stanza. Si ritagliano, ogni giorno un po’ di più, un angolo di mondo sospeso tra la fretta e l’immobilità. E la parola li soccorre, riemerge, ogni giorno un po’ di più; da insospettate profondità. E la parola spezzata diventa discorso. Il corpo si distende, si rilassa, lascia fare; la vita riprende a pulsare. La fontana prosciugata torna a pulsare, il fiume riprende il suo corso. Il discorso si dipana.

Parlare dopo un lungo silenzio è cosa giusta. […] che si parli così tra noi su questo tema eccelso, l’Arte e il Canto.

(W.B. Yeats)

Parlando di amore e psiche, non è infrequente che il filo del discorso ci conduca a rintracciare temi collegati prima ancora che alle vicende del corpo – di un corpo vissuto come disobbediente, inaffidabile – alle vicende dell’anima. Le vicende più profonde, emotivamente risonanti, legate al mondo dei sentimenti, delle emozioni, dei sogni, della fantasia.
Ed è allora spesso con sorpresa che il paziente in terapia scopre che la propria storia umana è già stata narrata; ma più che nei libri di testo scientifici o nei manuali di anatomia è rintracciabile nel romanzo, nel mito, negli archetipi di amore e psiche, nella favola, o nella musica, nei testi in musica, nel cinema. Si scopre con sorpresa quanto le vicende umane, personali, siano a volte così vicine a quelle di Psiche (Amore e Psiche…) o della ” Bella Addormentata “, precipitate – entrambe – in un torpore così simile alla morte, al quale solo Eros le sottrarrà.

( “… da quel giorno per me il mondo si è fermato; io stessa vivo come in un sogno […] e il mio corpo è lì, e non c’è, non sente più… La gente parla di amore, di piacere, e io non riesco a immaginare cosa siano… “ Mi raccontò Flavia all’inizio della terapia).

Si scopre con sorpresa quanto vivere la propria sessualità come un’armonia vivente o una melodia interrotta possa essere, una volta di più, così vicino ai grandi temi della musica, o delle storie in musica. Penso a ” Adriana Lecouvreur“:

( “Lui torna a casa con gli abiti impregnati del profumo di lei… E io mi sento morire, e forse il mio corpo è morto davvero, non mi chiama, e non mi risponde più ” mi confidò Federica fra le lacrime).

O alla ” Turandot “:

( “nessuno conosce il mio enigma, dottore… Tutti gli uomini mi cercano e io, se potessi, li farei decapitare uno ad uno… “ Mi disse una volta Marta).

E a proposito di Amore e Psiche, penso al Don Giovanni o il Convitato di Pietra: “In Italia seicento e quaranta, In Lamagna duecento e trentuna… Non si picca se sia ricca, se sia brutta, se sia bella: purché porti la gonnella…” – mi spiegò al primo incontro con dovizia di particolari Adalberto, e a stento lo trattenni dall’attaccare, con bella voce tenorile, “La donna è mobile“, prima che mi confessasse che così ormai non era più, e da tre anni la notte non chiudeva occhio e la sua vita erotica sembrava essersi “squagliata nelle fiamme dell’inferno“.

Per quanto riguarda il cinema è a volte vantaggioso domandarsi, insieme ai pazienti di sesso maschile, che cosa li ha convinti a riscrivere continuamente il copione di film quali Prendi i soldi e scappa (“dottore, vuole ridere? – mi disse Andrea dopo alcuni mesi di terapia – mi sono reso conto che io entro dentro il corpo di una donna come un rapinatore entrerebbe in una banca: non vedo l’ora di farmi consegnare il bottino e di darmela a gambe levate, prima che arrivi la polizia…”) o “Non aprite quella porta”: (“se mi sento autorizzato ad entrare a testa alta nel mondo degli affari, della politica, dello sport, perché non riesco a guardare negli occhi una donna, a varcare la sua soglia, il suo mistero?” Mi chiese Corrado la prima volta che ci incontrammo).

Oppure un frequente disturbo della sessualità femminile che nei manuali va sotto i nomi estraniati di Disturbo di Avversione Sessuale, Disturbo dell’Eccitamento Sessuale, Vaginismo… A me fa pensare alla storia che mi raccontò un giorno Michela.

“Dottore – mi disse – conosce la storiella del vecchio Leopold, abitante di Leopoli.. No? Gliela racconto… In una notte scura, fredda, tempestosa, piena di vento e di neve e di ghiaccio, il vecchio Leopold apre la porta di un’osteria e si sofferma un attimo sulla soglia… I presenti lo accolgono immediatamente con grida e urla del tipo “vecchio straccione impudente, chiudi subito quella porta, che fuori fa freddo”.
Il vecchio Leopold, serafico, chiude la porta… Poi aggiunge: “io la porta l’ho chiusa, ma fuori continua a fare freddo…” Dottore per me è la stessa cosa… In più, nel mio caso, continua a fare freddo anche dentro… Mi sono chiusa la porta alle spalle perché avevo freddo e paura e, ora che mi sono chiusa dentro da sola, continuo semplicemente ad avere freddo e paura… “.

Ecco allora che un po’ per volta quel corpo, all’inizio così “sovraccaricato” di responsabilità, così prepotentemente denunciato, irriso, temuto ( “io vorrei, ma lui si ritrae, fugge, mi perseguita, non lo controllo…) si ferma, si pone in ascolto. In attesa di una rinnovata dignità.

E la “Persona”, in una rinnovata intuizione di sé come totalità, inscindibilità di corpo e anima, di soma e psiche, di amore e psiche, torna a lanciare occhiate inizialmente timide e furtive, poi sempre più audaci e fiduciose, alla propria “interiorità“.

Più che parlare di un corpo disobbediente o inaffidabile, Alfeo, Aretusa e la “Persona” che li accompagna apprendono insieme il discorso del “corpo vivente“, con una rinnovata attenzione alla propria storia di esseri umani, dotati di spessore, e profondità. E con una rinnovata attenzione agli esseri umani e alla loro storia.

Lei mi fa ripensare ad un ricordo dei tempi del liceo – mi disse una volta Margherita – quando per noi studenti la tragedia greca era goliardicamente sintetizzato nella formula “Eschilo Eschilo si Sofocle, attenzione alle scale che sono Euripide…”.

E questo è stato ed è ancora, a volte, per l’uomo, il rapporto con il tragico, il simbolico, con la propria interiorità. La necessità di una fuga precipitosa, di un allontanamento brusco e repentino, in preda al panico; la pretesa di sfuggire all’abisso che è nell’umano, e dell’umano. La fretta di credere che la vita si esaurisca intorno ai contorni di un corpo dato una volta per tutte (affidabile o irrimediabilmente inaffidabile, degno di fiducia o inesorabilmente inattendibile) fa sì che poi, di nuovo tragicamente, ciò che era stato cacciato dalla porta rientri dalla finestra (come “sintomo”) acquistando le caratteristiche di qualcosa che nuovamente continua a incutere timore, col quale è difficile comunicare, dal quale è difficile farsi raccontare, e al quale è difficile affidare i propri racconti. Ecco che là dove l’anima chiude gli occhi e si ritrae spaventata, il corpo cade, protesta, non risponde; avanzando nel fumo dell’incendio non nota ostacoli là dove ce ne sono; si immagina la presenza di ostacoli là dove non ce ne sono affatto; ed ecco la produzione di risposte incongrue, la sensazione di inaffidabilità rispetto al proprio corpo. Corpo, Amore e Psiche. Sordi e ciechi gli uni alle ragioni degli altri.

E viene un giorno e Alfeo mi saluta, Aretusa mi saluta. E nei loro occhi brilla una luce nuova, che sale da profondità marine. Nei loro capelli soffia una brezza mai prima conosciuta. Il genio del cuore è stato evocato. Quel genio del cuore, per dirla con Friedrich Nietzsche “dal cui tocco ognuno si diparte più ricco, non graziato e stupito, non beneficiato ed oppresso, come da un bene estraneo, sibbene più ricco di sé, più nuovo che per l’innanzi, dissigillato, alitato e spirato da un vento australe, forse più insicuro, più fragile, più infranto, ma colmo di speranze che non hanno ancora un nome, colmo di un volere e di un fluire nuovo, colmo di una nuova riluttanza e di un nuovo riflusso… “.

Il cuore è stato toccato. Amore e Psiche si sono ricongiunti.

A nome dei tanti Alfeo e Aretusa, ricorderò qui solo quello che mi disse Flavia (ricordate “Psiche”, e “La Bella Addormentata?”) l’ultimo giorno del nostro viaggio insieme: “Lei parla poco dottore, e questo mi ha fatto molto infuriare in questi anni, lei sa quanto… Ma una cosa ho scoperto, e questo oggi posso dirle: occorre urlare per farsi udire in mezzo alla folla, è sufficiente bisbigliare per attraversare il silenzio. Grazie per avermi cercata, così a lungo. E, a proposito… Grazie per avermi svegliata… “.

* Amore e Psiche. Articolo originariamente pubblicato in Rivista di Scienze Sessuologiche, Journal of Sexological Sciences, Edizioni del Cerro. Volume 10, N° 3, Settembre-Dicembre 1997

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Adriano Legacci

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