Terapia dei disturbi sessuali

Terapia delle perversioni sessuali

Terapia delle perversioni sessuali
Scritto da Adriano Legacci

Terapia delle perversioni sessuali (o parafilie)

Il tema della terapia delle perversioni sessuali contiene in sé tutte le difficoltà legate alla definizione di ciò che è norma e di ciò che è patologia nell’ambito della sessualità e del modo che ciascun essere umano ha di esprimerla. Quello che, in un determinato momento storico e all’interno di uno specifico gruppo culturale, viene individuato come “norma sessuale”, può essere considerato come comportamento deviante in un’altra epoca e nell’ambito di una differente cultura.

La “norma sessuale” è un concetto condizionato da fattori sociali e suscettibile di repentine modificazioni (Dalle Luche, 2001). Per queste ragioni, il significato del termine “perversione” può oscillare ambiguamente tra svariate sfumature ed esprimersi, ad esempio, come deviazione o come sovversione della norma, indicare un’incapacità di adeguarsi alle regole della normalità o una volontà cosciente di ribellarsi ad esse; il comportamento perverso può essere considerato e, conseguentemente trattato, come una malattia, un fenomeno sociale o un fenomeno di costume dalle potenzialità innovative o, ancora, collocarsi tra i comportamenti considerati comunque parte della normalità affettiva ed erotica o, al contrario, tra quelli che ne sono esclusi (Dalle Luche, 2001).

Come suggerisce Dalle Luche (2001), i comportamenti perversi potrebbero essere considerati semplicemente come fenomeni antropologici, la cui definizione, nei termini di comportamento socialmente accettato, talvolta incentivato, insolito o patologico, appare strettamente legata al periodo storico-culturale entro cui si manifestano.

Nelle sue formulazioni psicoanalitiche, Fenichel (1945) sosteneva che le perversioni possiedono un carattere universalmente umano, essendosi praticate in tutte le epoche e razze, talvolta tollerate e talvolta anche incoraggiate (Scott, 1968).

La difficoltà a stabilire una specifica terapia delle perversioni sessuali è legata anche al loro scarso rilievo clinico: nella maggior parte dei casi il comportamento parafilico assume evidenza nell’ambito sociale o forense, mentre quando si presenta in associazione ad altri disturbi psicopatologici è molto spesso transitorio e difficilmente collocabile in una chiara categoria clinica che ne consenta l’indagine e la spiegazione (Dalle Luche, 2001).

Stafford-Clark (1968) sottolinea la centralità della comunicazione e della compliance nel momento in cui viene valutata la possibilità di intraprendere una terapia delle perversioni sessuali con il soggetto perverso; come afferma l’autore, senza una piena consapevolezza, collaborazione e consenso del paziente, la terapia non può avere inizio. La condizione migliore per avviare un programma di terapia delle perversioni sessuali è quella in cui il paziente stesso si presenta al terapeuta chiedendo una consultazione e riconosce di avere bisogno di un aiuto che ritiene di poter ricevere dalla collaborazione con il terapeuta (Stafford-Clark, 1968).

Purtroppo, la realtà dell’evidenza clinica si contrappone spesso a questi fondamentali presupposti; raramente, infatti, chi soffre di una qualche perversione sessuale decide liberamente di chiedere un aiuto psicoterapeutico e, quando questo accade, spesso c’è alla base la costrizione di un parente o la pressione sociale derivante dall’ ”essere stato scoperto” (Dèttore, 2004).

Stafford-Clark (1968) ritiene che la perversione sessuale debba essere affrontata nell’ambito di una psicoterapia individuale che includa un’analisi della particolare dinamica psichica sottostante alla psicopatologia del paziente.

Scott (1968) suggerisce un trattamento psicoanalitico, evidenziando, al contempo, l’importanza di altri tipi di terapia e di misure sociali di sostegno che mettano il paziente nella condizione più favorevole per affrontare le sue difficoltà.

In un’ottica psicoanalitica, Fenichel (1945) identificava gli scopi della sessualità perversa con quelli della sessualità infantile. Secondo l’autore, il soggetto pervertito possiede una sessualità infantile anziché adulta e tale condizione può derivare o da un regressione o da un arresto dello sviluppo (Scott, 1968).

Scott (1968), in linea con le formulazioni teoriche di Fenichel, identifica due possibili gruppi di soggetti perversi:

  1. Soggetti che regrediscono ad azioni perverse in risposta a determinati fattori stressanti, capaci di risvegliare paure e frustrazioni infantili.
  2. Soggetti che non non hanno mai elaborato e superato forme di comportamento infantile.

I primi sono capaci di attuare meccanismi difensivi secondari, come la rimozione o la sublimazione, e, fuori dai momenti regressivi, conservano una personalità sufficientemente sviluppata; i secondi, invece, evidenziano gravi lacune o distorsioni della personalità e spesso sono descritti come soggetti estremamente narcisisti, apparentemente aggressivi o antisociali e come individui che covano rancore (Scott, 1968).

La terapia delle perversioni sessuali con i soggetti perversi su base regressiva è soprattutto mirata a rendere i pazienti consapevoli dei fattori scatenanti che hanno favorito il comportamento perverso, aiutandoli ad imparare ad esercitare un controllo su di essi (Scott, 1968). Se il paziente, indipendentemente dall’atto perverso, possiede un’adeguata struttura di personalità, potrà più facilmente andare in contro a miglioramenti spontanei e, in ogni caso, le possibilità di successo terapeutico saranno maggiori rispetto a quelle di un individuo che manifesta un arresto dello sviluppo e che, in conseguenza di ciò, non è mai riuscito a stabilire sane e soddisfacenti relazioni amorose e personali (Scott, 1968).

In tutti i casi, considerando le premesse sulla centralità del vissuto soggettivo e sulle difficoltà di classificazione e di definizione di tali disturbi, è importante usare sempre una certa cautela sia nel trattare le perversioni sessuali come entità nosografiche tangibili, sia nel pretendere rapidi miglioramenti in risposta ad uno specifico trattamento, sia nel formulare prognosi negative nei casi in cui uno specifico trattamento fallisca o venga rifiutato dal paziente (Scott, 1968).

In primo luogo è fondamentale operare un’accurata valutazione diagnostica, che indaghi e definisca l’eventuale presenza di condizioni patologiche primarie che provocano il comportamento perverso, la qualità delle esperienze adolescenziali, la struttura di personalità e le possibili regressioni o arresti dello sviluppo (Scott, 1968). Successivamente sarà valutata la scelta del trattamento migliore per quello specifico paziente.

Dal momento che la perversione può essere considerata come una forma di adattamento, generalmente disadattivo ma pur sempre con funzione omeostatica per l’individuo, le considerazioni terapeutiche devono estendersi anche al fatto che il turbamento di un determinato equilibrio può causare intensi livelli di ansia e, senza le adeguate accortezze, favorire l’insorgere di uno stato depressivo con probabilità suicidaria (Scott, 1968).

Anche De Luche (2001) sostiene il carattere spesso difensivo della perversione, che, una volta stabilitasi, preserva il soggetto dall’insorgenza dei sottostanti sentimenti ansiosi e depressivi. Per tali ragioni il soggetto tende a sottrarsi “(…) allo sguardo indiscreto e sanzionante (dal punto di vista del perverso) dello psicopatologo.” (De Lusche, 2001, p. 30).

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Adriano Legacci

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